Storia D'Italia vol. 30-34 by Indro Montanelli
autore:Indro Montanelli
La lingua: ita
Format: mobi
Tags: Storia
pubblicato: 2010-12-28T16:19:22+00:00
CAPITOLO QUARTO.
ASPROMONTE.
RIENTRATO a Londra dopo l'inutile soggiorno a Napoli al tempo dei "Mille", Mazzini aveva ripreso a tessere la sua tela mirando a conquistare le società operaie. Sorte negli anni cinquanta, si erano diffuse un po' dovunque. Ma solo in quelle di Genova l'elemento mazziniano aveva la prevalenza; tutte le altre erano dirette da borghesi di confessione progressista, ma di anima moderata, che miravano a fare di esse un puro strumento di rivendicazioni sindacali, come la regolamentazione degli orari di lavoro, l'aumento dei salari e l'istruzione gratuita. Per dibattere questi problemi, esse avevano già tenuto vari congressi. Ma nel '61 Mazzini ne convocò un altro a Firenze mettendo all'ordine del giorno la questione del voto politico, da cui gli operai seguitavano a
essere esclusi. La battaglia che su di essa si scatenò fu talmente aspra da provocare una scissione, la prima delle tante ch'erano destinate a tribolare il movimento operaio italiano. I moderati abbandonarono il campo, di cui Mazzini rimase padrone. E questa vittoria gli fece sperare di poter riassorbire sotto la propria bandiera tutte le dissidenze democratiche.
Per riuscirci non c'era che un modo, il solito modo : precedere l'avversario e trascinarselo a rimorchio con qualche gesto risoluto. Al compimento dell'unità nazionale mancavano ancora Roma e Venezia, per le quali esistevano già dei "Comitati di provvedimento" che avevano la loro direzione centrale a Genova. Bisognava conquistarli, e per questo occorreva l'assenso di Garibaldi che ne restava l'alto patrono. Ma Garibaldi, quando seppe che Mazzini era riuscito a immettere nei Comitati una maggioranza di uomini suoi, ne declinò la presidenza, e solo su pressante preghiera di Crispi e Mordini, che andarono apposta a Cà prera, accettò di partecipare a un'assemblea cui, oltre ai Comitati, sarebbero intervenute le società operaie e varie altre organizzazioni democratiche. Il raduno si tenne a Genova, e si concluse con la fusione di tutte queste forze nella "Società Emancipatrice". Accettando la formula "Italia e Vittorio Emanuele", i mazziniani credevano di aver recuperato Garibaldi. Ma Garibaldi era nel giuoco del Re, di cui seguitava a subire il fascino e che sperava, attraverso di lui, di strumentalizzare le iniziative de-mocratiche.
Come abbiamo detto, Vittorio Emanuele credeva di avere nelle mani le carte di un grande giuoco politico: mettere in ginocchio l'Austria colpendola alle spalle con una spedizione nei Balcani. Non si è mai saputo quali affidamenti avesse dato in questo senso a Garibaldi, che naturalmente avrebbe guidato l'impresa. Altrettanto oscuro resta l'atteggiamento di Napoleone, di cui Vittorio Emanuele diceva di avere in tasca l'assenso: non meno avventuroso di lui, l'Imperatore era anche più ambiguo, e Dio sa quali progetti covava. Comunque, quando si accorse che Vittorio Emanuele s'impegnava scopertamente nell'impresa, s'affrettò a fargli sapere che non lo avrebbe secondato, e il progetto per il momento sfumò.
Ma non sfumò per Garibaldi che ormai aveva mobilitato l'Emancipatrice e pronunciato discorsi incendiari, regolarmente conclusi dal grido: "Roma e Venezia!" Mazzini non aveva dubbi: era su Venezia che per prima bisognava marciare perché gli ungheresi, scriveva in una lettera ad Alberto Mario, non aspettavano altro per
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